mercoledì 5 giugno 2013

Paul Gauguin, La Orana Maria (Ave Maria)


                                                   

Paul Gauguin
“A forza di vivere si finisce per sognare una rivincita e bisogna accontentarsi del sogno”. Così
scrisse Paul Gauguin (Parigi 1848 - Isole Marchesi 1903), che della fuga dalla civiltà occidentale verso il sogno, il misticismo e i mondi lontani fece la regola della sua vita incostante. 
Se Seurat aveva cercato di superare l’Impressionismo naturalistico attraverso la scienza, Gauguin intraprese una strada del tutto opposta. Le loro personalità erano agli antipodi: Seurat borghese, con regolari studi accademici, meticoloso, scarsamente incline all’avventura e affascinato dalla logica; Gauguin educato alla libertà più completa, autodidatta, impulsivo e teso verso
verità mistiche. 
Cresciuto in Perù, ritornò in Francia per poi imbarcarsi come marinaio a diciassette anni: desiderava viaggiare soprattutto per poter vedere il mondo. Nel 1872 trovò un posto in Borsa e
in poco tempo divenne abbastanza ricco da potersi permettere di acquistare molte opere impressioniste. Sposatosi con una giovane danese, ebbe una schiera di figli. Fu durante questo intermezzo di vita borghese che incominciò a dipingere. Nel 1882 il crollo finanziario dell’Union
Générale lo gettò improvvisamente sul lastrico: aveva 34 anni, una famiglia numerosa e il desiderio di cambiare strada. Decise di darsi totalmente alla pittura, cosa che determinò anni di
povertà e l’abbandono della moglie, ritornata alla casa paterna. Ciò non scalfì la sua determinazione e le sue idee in anticipo sui tempi: la pittura doveva rifuggire ogni naturalismo, doveva essere uno specchio del mondo interiore piuttosto che di quello esteriore e il primo mezzo
che consentiva questo scavo dentro gli stati d’animo era, a suo avviso, il colore. 
Il periodo di Pont-Aven
Occorreva liberarsi completamente della tradizione. Per avere la giusta ispirazione sentì necessario il trasferimento in un ambiente vergine: trovò un paradiso incontaminato nella località
di Pont-Aven sulla costa della Bretagna. Questa era allora considerata la regione francese più
restia ad accogliere le idee moderne, legata com’era alle sue tradizioni religiose e al folklore testimoniati nei dipinti di questi anni (vedi a pag. 9 il ritratto della Belle Angèle). Grazie al suo naturale carisma, qui Gauguin riuscì a farsi una piccola corte di amici, tra i quali anche il diciannovenne Émile Bernard che, nel 1888, dipinse Bretoni in una prateria verde (vedi pag. 26): un
quadro che, per le sue campiture piatte di colore e i contorni marcati, sembra la trascrizione
in pittura delle teorie di Gauguin, tanto che in seguito nacque una disputa tra loro sulla priorità dell’invenzione stilistica che fu chiamata “Sintetismo”. 
Nel 1889 il pittore si trasferì in un piccolo villaggio di pescatori, Le Poldu, dove dipinse capolavori come il Cristo giallo, ispirato a un Crocifisso policromo dell’artigianato locale. 

Verso l’esotismo
Cominciò a raccogliere consensi soprattutto nell’Avanguardia letteraria parigina, ma il suo bisogno di ignoto lo spinse nel 1891 a partire per Tahiti, dove rimase per due anni e dipinse i suoi quadri più noti. La tavolozza si fece sempre più ricca di colori accesi, con gialli, blu, rossi accostati in modo luminescente. Nel 1895, ormai stanco, ammalato di sifilide, ripartì di nuovo per Tahiti e poi verso le Isole Marchesi, dove sperava di trovare un universo vergine. Il suo libro Memorie di un selvaggio testimonia quanto egli tenesse a identificarsi, malgrado le delusioni offerte dalle sue fughe, giacché quegli angoli coloniali erano già stati contaminati da alcool e prostituzione, in un estraneo alla civiltà occidentale. Anche attraverso i numerosi autoritratti, del resto, Gauguin non mancò di sottolineare come vedesse se stesso nelle vesti di un profeta visionario, portatore di valori alternativi rispetto alle consuetudini sociali, fondate sul profitto
e sul materialismo. Per questo, anche quando l’artista non si dedica a scenari di carattere religioso, descrive una vita quotidiana semplice e perciò buona, fatta soltanto di cose necessarie come cibo, riposo, amore e la spiritualità stessa; non importa, a questo proposito, se il culto da seguire sia cristiano o locale, se le credenze si ibridino tra loro: questo spiega le molte reinterpretazioni del Vangelo attraverso protagonisti tahitiani e la frequente presenza, in queste stesse scene, di simboli non cristiani, come accade in Ia Orana Maria (Ave Maria), che mescola scene sacre e stili artistici. Il dipinto è il frutto dell’interpolazione tra scene sacre dell’Occidente, l’Annunciazione e l’Adorazione dei pastori, ma la visione è ambientata tra fiori, palmizi e caschi di banane; inoltre le due donne che avanzano, in preghiera, sono derivate da figure di danzatrici di un rilievo del tempio buddista di Borobudur, nell’isola di Giava, di cui l’artista possedeva fotografie: le mani giunte non rappresentano dunque una preghiera, ma il gesto di benvenuto, tipicamente orientale. 

Tratto da Arte 3 artisti, opere, temi di Gillo Dorfles e Angela Vettese

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